ZENERÙ
a documentary film by Andrea Grasselli
La relazione poetica, tra l’antico rituale del Zenerù
e la vita dell’eremita Flaminio, ci interroga sul confine
tra domestico e selvatico, tra conosciuto e ignoto
e la vita dell’eremita Flaminio, ci interroga sul confine
tra domestico e selvatico, tra conosciuto e ignoto
The poetic relationship, between the ancient ritual of Zenerù and
the life of the hermit Flaminio, makes us reflect on the border
between domestic and wild, between known and unknown
the life of the hermit Flaminio, makes us reflect on the border
between domestic and wild, between known and unknown
sinossi breve
Sul finire dell’inverno, Flaminio, pastore resistente, si prepara materialmente e spiritualmente all’arrivo della primavera, con quotidiana ritualità e con gli strumenti da lui stesso costruiti: smuove e semina il terreno, tosa le pecore e confeziona un vestito di lana per la nuova stagione. Le comunità delle valli scacciano l'inverno con campanacci e falò attraverso il rituale de La Scasada dol Zenerù, che si inserisce nel racconto della vita del pastore come un elemento onirico che attinge ad una memoria ancestrale. La sensibilità di Flaminio, fortemente connessa alla Natura, gli permette di percepire quando è il momento di chiamare la collettività ad agire, dando inizio al rituale.
Sul finire dell’inverno, Flaminio, pastore resistente, si prepara materialmente e spiritualmente all’arrivo della primavera, con quotidiana ritualità e con gli strumenti da lui stesso costruiti: smuove e semina il terreno, tosa le pecore e confeziona un vestito di lana per la nuova stagione. Le comunità delle valli scacciano l'inverno con campanacci e falò attraverso il rituale de La Scasada dol Zenerù, che si inserisce nel racconto della vita del pastore come un elemento onirico che attinge ad una memoria ancestrale. La sensibilità di Flaminio, fortemente connessa alla Natura, gli permette di percepire quando è il momento di chiamare la collettività ad agire, dando inizio al rituale.
“Se il mito è narrazione, il rito è un comportamento orientato ad uno scopo e ripetuto con parole e gesti di significato altamente simbolico. È così che mito, rito e simbolo diventano un circuito volto alla soluzione della crisi, astraendo dalla storia reale in cui agisce il negativo.”
Ernesto De Martino
Ernesto De Martino
“Oralità che diventa scrittura non alla ricerca della tradizione ‘autentica’, né per congelarsi in formule da tramandare. La tradizione è anzitutto azione e passione, sophia e pathos, ha bisogno di essere vissuta, rivissuta negli anni, reinterpretata ogni volta per mantenere la propria vitalità in un contesto in continua trasformazione.”
Giovanni Mocchi
Giovanni Mocchi
- contesto -
La Scasada dol Zenerù | il rituale
La Scasada dol Zenerù (Cacciata del Gennaio) è una tradizione secolare del mondo agropastorale che si svolge ogni anno ad Ardesio (Val Seriana, Bergamo). Si tratta di una rappresentazione drammatica che mette in scena le paure e le tensioni vissute dalla comunità durante l’anno.
La sera del 31 Gennaio di ogni anno, alle prime ombre notturne, ragazzi e giovani muniti di campanacci, tole e cioche, utilizzati come strumenti magici, scendono dai sentieri lungo i pascoli, raggiungono le contrade e si lanciano per le strade del paese in un incessante scampanamento in simbiosi ritmica con le loro danze. Sfidando il freddo si cerca di creare il maggior frastuono possibile per allontanare l’inverno, sperando nell’arrivo della primavera.
Fino ad inizio Novecento la società rurale tradizionale dipendeva quasi esclusivamente dalla Natura e dalle forze che in essa agiscono. Nell’imprevedibilità degli eventi, soltanto il tempo ciclico restava un punto fermo e sicuro, con l'avvicendarsi delle stagioni, delle nascite e delle morti.
Durante il boom economico italiano, mentre modernità e culto del consumo dirompevano nello spazio sociale, si è presa la direzione dell’abbandono e del rifiuto della cultura popolare e locale, fatta eccezione per sporadici casi illuminati. La tradizione della “Scasada dol Zenerù”, non è riuscita a competere con i nuovi modelli che giungevano dal piccolo schermo. Così, un rituale che celebrava l’universale lotta tra la vita e la morte, preludio al risveglio della Natura, stava rapidamente cadendo nell’oblio dopo aver attraversato i secoli. Fino a quel momento solamente una piccola manciata di valligiani, tra cui Flaminio, proseguivano la tradizione.
Nel 1965, la svolta: una maestra di Ardesio contattò la RAI per segnalare il rituale alla trasmissione televisiva Cronache Italiane. Per l’occasione fu introdotta l’innovazione della personificazione del Zenerù, su specifica richiesta di un operatore televisivo che aveva l’esigenza di filmare una minaccia visibile. Un uomo del paese quindi, si vestì con due lenzuoli, uno bianco e uno nero, e con un grande cappellaccio impersonificò per la prima volta l’Inverno da scacciare. Il rituale della piccola comunità si ritrovò così amplificato dal mezzo televisivo. La trasmissione affascinò gli abitanti che videro sotto nuova luce quella che sembrava una festa in decadenza. Da allora il rituale ha riacquistato grande partecipazione nella comunità.
La Scasada dol Zenerù (Cacciata del Gennaio) è una tradizione secolare del mondo agropastorale che si svolge ogni anno ad Ardesio (Val Seriana, Bergamo). Si tratta di una rappresentazione drammatica che mette in scena le paure e le tensioni vissute dalla comunità durante l’anno.
La sera del 31 Gennaio di ogni anno, alle prime ombre notturne, ragazzi e giovani muniti di campanacci, tole e cioche, utilizzati come strumenti magici, scendono dai sentieri lungo i pascoli, raggiungono le contrade e si lanciano per le strade del paese in un incessante scampanamento in simbiosi ritmica con le loro danze. Sfidando il freddo si cerca di creare il maggior frastuono possibile per allontanare l’inverno, sperando nell’arrivo della primavera.
Fino ad inizio Novecento la società rurale tradizionale dipendeva quasi esclusivamente dalla Natura e dalle forze che in essa agiscono. Nell’imprevedibilità degli eventi, soltanto il tempo ciclico restava un punto fermo e sicuro, con l'avvicendarsi delle stagioni, delle nascite e delle morti.
Durante il boom economico italiano, mentre modernità e culto del consumo dirompevano nello spazio sociale, si è presa la direzione dell’abbandono e del rifiuto della cultura popolare e locale, fatta eccezione per sporadici casi illuminati. La tradizione della “Scasada dol Zenerù”, non è riuscita a competere con i nuovi modelli che giungevano dal piccolo schermo. Così, un rituale che celebrava l’universale lotta tra la vita e la morte, preludio al risveglio della Natura, stava rapidamente cadendo nell’oblio dopo aver attraversato i secoli. Fino a quel momento solamente una piccola manciata di valligiani, tra cui Flaminio, proseguivano la tradizione.
Nel 1965, la svolta: una maestra di Ardesio contattò la RAI per segnalare il rituale alla trasmissione televisiva Cronache Italiane. Per l’occasione fu introdotta l’innovazione della personificazione del Zenerù, su specifica richiesta di un operatore televisivo che aveva l’esigenza di filmare una minaccia visibile. Un uomo del paese quindi, si vestì con due lenzuoli, uno bianco e uno nero, e con un grande cappellaccio impersonificò per la prima volta l’Inverno da scacciare. Il rituale della piccola comunità si ritrovò così amplificato dal mezzo televisivo. La trasmissione affascinò gli abitanti che videro sotto nuova luce quella che sembrava una festa in decadenza. Da allora il rituale ha riacquistato grande partecipazione nella comunità.
Flaminio Beretta | il pastore
Flaminio Beretta nasce nel 1948. Simpaticamente considerato dai compaesani una sorta di Uomo Selvatico o di nuovo Leonardo Da Vinci, Flaminio, dopo aver lavorato come fotografo nello studio del padre, esce di casa poco più che ventenne ed inizia a lavorare come aiutante per diversi pastori della zona, iniziando una lunga peregrinazione che lo porta, tra alpeggi e valli, a vivere sempre all’aperto, a forte contatto con le avversità della natura. Giunto ai trent’anni decide di fermarsi, recuperando un vecchio fienile di famiglia e abitando in quella che ancora oggi è la sua casa. Da più di quarant’anni, infatti, vive da solo come eremita, conducendo la sua esistenza privandosi volontariamente delle comodità della modernità: senza corrente elettrica, acqua corrente e riscaldamento. Flaminio veste di sole pelli e lana, che si autoproduce filando e tessendo, e conduce una vita umile e semplice a contatto con la natura e con la terra, allevando e coltivando; raccoglie erbe con sapienza erboristica, per utilizzarle come rimedi naturali; si ingegna costantemente trovando soluzioni “innovative” per i suoi strumenti di lavoro. Nel corso dell’ultimo decennio ha deciso di non scendere più in paese. Ha limitato le relazioni con i compaesani, per vivere più a fondo la sua esistenza.
Durante gli anni Sessanta, quando il rituale rischiava di scomparire, assieme ad una manciata di compaesani, ha sostenuto e promosso il Zenerù, facendolo sopravvivere. Ogni anno alimenta il rituale scrivendo una poesia-filastrocca e disegnando il fantoccio che una volta costruito dai compaesani, il giorno del rito, viene cacciato e arso. Questo fa di lui l’amato e rispettato punto di riferimento per il rituale nella sua comunità.
Flaminio Beretta nasce nel 1948. Simpaticamente considerato dai compaesani una sorta di Uomo Selvatico o di nuovo Leonardo Da Vinci, Flaminio, dopo aver lavorato come fotografo nello studio del padre, esce di casa poco più che ventenne ed inizia a lavorare come aiutante per diversi pastori della zona, iniziando una lunga peregrinazione che lo porta, tra alpeggi e valli, a vivere sempre all’aperto, a forte contatto con le avversità della natura. Giunto ai trent’anni decide di fermarsi, recuperando un vecchio fienile di famiglia e abitando in quella che ancora oggi è la sua casa. Da più di quarant’anni, infatti, vive da solo come eremita, conducendo la sua esistenza privandosi volontariamente delle comodità della modernità: senza corrente elettrica, acqua corrente e riscaldamento. Flaminio veste di sole pelli e lana, che si autoproduce filando e tessendo, e conduce una vita umile e semplice a contatto con la natura e con la terra, allevando e coltivando; raccoglie erbe con sapienza erboristica, per utilizzarle come rimedi naturali; si ingegna costantemente trovando soluzioni “innovative” per i suoi strumenti di lavoro. Nel corso dell’ultimo decennio ha deciso di non scendere più in paese. Ha limitato le relazioni con i compaesani, per vivere più a fondo la sua esistenza.
Durante gli anni Sessanta, quando il rituale rischiava di scomparire, assieme ad una manciata di compaesani, ha sostenuto e promosso il Zenerù, facendolo sopravvivere. Ogni anno alimenta il rituale scrivendo una poesia-filastrocca e disegnando il fantoccio che una volta costruito dai compaesani, il giorno del rito, viene cacciato e arso. Questo fa di lui l’amato e rispettato punto di riferimento per il rituale nella sua comunità.
Fonte storica ed etnomusicologa:
Giovanni Mocchi, “La Scasada dol Zenerù e l’uso rituale dei campanacci” in “Carnevali e folclore delle Alpi” e “Campanacci, fantocci e falò”.
Giovanni Mocchi, “La Scasada dol Zenerù e l’uso rituale dei campanacci” in “Carnevali e folclore delle Alpi” e “Campanacci, fantocci e falò”.
“Il racconto di meraviglie magiche, non ammette d’essere situato nel tempo e nello spazio.
L’unico dato sicuro riguarda la documentazione, cioè il fatto che quel dato racconto viene narrato, cioè ricordato e trasmesso, in quel dato luogo e in quel momento”
Italo Calvino
L’unico dato sicuro riguarda la documentazione, cioè il fatto che quel dato racconto viene narrato, cioè ricordato e trasmesso, in quel dato luogo e in quel momento”
Italo Calvino
- il film -
sinossi lunga
La figura di Flaminio Beretta, pastore resistente, è difficilmente collocabile nello spazio e nel tempo. Veste solo di pelli e lana, che lui stesso produce e confeziona. All’apparenza sembra provenire dal passato, e al tempo stesso, nei gesti e negli strumenti autoprodotti, pare viva in un futuro distopico. Il film si vuole quindi inserire in questo scarto indecifrabile delle due temporalità.
La sua quotidiana ritualità è scandita da numerose azioni con strumenti che lui stesso si è auto-costruito: recupera l’acqua alla fonte, porta il gregge a pascolare, tosa le pecore, carda e fila la lana, confeziona al telaio un vestito di lana per la nuova stagione, cucina un pasto frugale per sé stesso e si consola con un pò di vino che lo aiuta a tenersi caldo durante la rigida stagione.
Flaminio, dopo aver osservato le ultime manifestazioni della stagione fredda, capisce che è giunto il momento di avvertire i valligiani di scendere da valli e crinali, per scacciare lo Spirito dell’Inverno. Dopo averli richiamati, esce di casa guardando verso le cime delle montagne innevate da dove proviene il vento. All’improvviso dei corni risuonano nella valle, sono i valligiani che rispondono al segnale del corno di Flaminio. Numerosi suoni di campanacci scendono dai fianchi delle montagne, delle valli e dalle colline limitrofe. Sono uomini vestiti con lunghi tabarri e cappelli, che agitano con forza grandi campanacci per dare la caccia all’Inverno che tenta la fuga. Lo Spirito dell’Inverno comincia a tentennare. Le campane, da oggetti quotidiani, durante il rituale si trasformano in strumenti magici che gli scampanatori usano per stordire e catturare lo Spirito, facendolo cadere in una trance acustica. Il suono ipnotico dei campanacci segna il confine tra domestico e selvatico, tra conosciuto e ignoto. L’obiettivo dei valligiani non è eliminare l’inverno ma è allontanarlo: rispettando quindi il tempo ciclico della natura e accogliere l’imminente arrivo della Primavera.
Con un grande falò gli uomini del villaggio bruciano il fantoccio che rappresenta il Zenerù.
La figura di Flaminio Beretta, pastore resistente, è difficilmente collocabile nello spazio e nel tempo. Veste solo di pelli e lana, che lui stesso produce e confeziona. All’apparenza sembra provenire dal passato, e al tempo stesso, nei gesti e negli strumenti autoprodotti, pare viva in un futuro distopico. Il film si vuole quindi inserire in questo scarto indecifrabile delle due temporalità.
La sua quotidiana ritualità è scandita da numerose azioni con strumenti che lui stesso si è auto-costruito: recupera l’acqua alla fonte, porta il gregge a pascolare, tosa le pecore, carda e fila la lana, confeziona al telaio un vestito di lana per la nuova stagione, cucina un pasto frugale per sé stesso e si consola con un pò di vino che lo aiuta a tenersi caldo durante la rigida stagione.
Flaminio, dopo aver osservato le ultime manifestazioni della stagione fredda, capisce che è giunto il momento di avvertire i valligiani di scendere da valli e crinali, per scacciare lo Spirito dell’Inverno. Dopo averli richiamati, esce di casa guardando verso le cime delle montagne innevate da dove proviene il vento. All’improvviso dei corni risuonano nella valle, sono i valligiani che rispondono al segnale del corno di Flaminio. Numerosi suoni di campanacci scendono dai fianchi delle montagne, delle valli e dalle colline limitrofe. Sono uomini vestiti con lunghi tabarri e cappelli, che agitano con forza grandi campanacci per dare la caccia all’Inverno che tenta la fuga. Lo Spirito dell’Inverno comincia a tentennare. Le campane, da oggetti quotidiani, durante il rituale si trasformano in strumenti magici che gli scampanatori usano per stordire e catturare lo Spirito, facendolo cadere in una trance acustica. Il suono ipnotico dei campanacci segna il confine tra domestico e selvatico, tra conosciuto e ignoto. L’obiettivo dei valligiani non è eliminare l’inverno ma è allontanarlo: rispettando quindi il tempo ciclico della natura e accogliere l’imminente arrivo della Primavera.
Con un grande falò gli uomini del villaggio bruciano il fantoccio che rappresenta il Zenerù.
“L'avventura è sempre e ovunque un passaggio oltre il velo del noto verso l'ignoto; i poteri che sorvegliano il confine sono pericolosi; affrontarli è rischioso; tuttavia per chiunque è dotato di competenza e coraggio il pericolo svanisce”
Joseph Campbell
Joseph Campbell
note di regia
Entriamo nella vita del pastore Flaminio Beretta, mentre con fatica tira un vecchio asino in salita che a sua volta trascina un tronco di legno. L’urgenza è quella di mostrare la sua resistenza. Con sguardo osservativo e immersivo ho scelto una narrazione che restituisce un brandello di esistenza e di esperienza di vita, per mostrare i frammenti di una presenza fragile e ricca.
Nel film ho collocato Flaminio in una posizione intermedia tra i valligiani e l’inverno, facendogli interpretare un ruolo che si avvicina ad impersonificarsi con lo Spirito del Zenerù, ampliando così le sue percezioni, il suo sentire ed entrando in forte connessione con il rituale. Flaminio nel racconto è colui che mette in relazione il mondo selvatico e quello domestico, facendo perdere allo spettatore i punti di riferimento spaziali e temporali. Si tratta di un’entità duplice che addomestica e viene addomesticato. Flaminio è il paradosso, la contraddizione, l’ossimoro nel tentativo di separare la Natura dall’Essere Umano.
La potente corporeità visiva di Flaminio mi ha suggerito di adottare un’estetica che abbandona la centralità del verbo, a favore di una dimensione tattile e sonora. Il senso profondo del suo agire, per me, non sta nel nominare le cose e gli oggetti con le parole ma nella sua capacità di far risuonare e scuotere le azioni, soprattutto quelle interiori ed emotive.
Nel film ho volutamente costruito una dimensione atemporale, plasmando il pastore solitario in un personaggio che sembra appartenere ad un passato remoto e al tempo stesso dà l’impressione di vivere in una sorta di futuro distopico. Flaminio sembra l’ultimo superstite del nostro presente, epoca annientata dagli scarti, dal consumo di oggetti e territori, e dall’incapacità di costruire azioni collettive. In questo senso, nel film, gli elementi onirici del rituale de La scasada dol Zenerù e i suoi strumenti magici, campanacci e corni, servono al protagonista come memoria storica di un passato comunitario nel quale si sopravviveva collaborando. Flaminio e il rituale apotropaico instaurano un rapporto simbiotico che permette loro di riconoscersi uno nell’altro.
Il rituale deve scacciare il malvagio insito nella modernità, deve adattarsi al cambiamento con sguardo critico, deve immergersi nel mondo magico, deve preservare il difficile equilibrio tra conosciuto e ignoto. Solo così potrà continuare ad esistere.
Ho voluto rappresentare i gesti delle comunità di montagna che sopravvivono, mostrando la resistenza del vecchio pastore e la forza del rituale collettivo che scaccia l’Inverno.
Entriamo nella vita del pastore Flaminio Beretta, mentre con fatica tira un vecchio asino in salita che a sua volta trascina un tronco di legno. L’urgenza è quella di mostrare la sua resistenza. Con sguardo osservativo e immersivo ho scelto una narrazione che restituisce un brandello di esistenza e di esperienza di vita, per mostrare i frammenti di una presenza fragile e ricca.
Nel film ho collocato Flaminio in una posizione intermedia tra i valligiani e l’inverno, facendogli interpretare un ruolo che si avvicina ad impersonificarsi con lo Spirito del Zenerù, ampliando così le sue percezioni, il suo sentire ed entrando in forte connessione con il rituale. Flaminio nel racconto è colui che mette in relazione il mondo selvatico e quello domestico, facendo perdere allo spettatore i punti di riferimento spaziali e temporali. Si tratta di un’entità duplice che addomestica e viene addomesticato. Flaminio è il paradosso, la contraddizione, l’ossimoro nel tentativo di separare la Natura dall’Essere Umano.
La potente corporeità visiva di Flaminio mi ha suggerito di adottare un’estetica che abbandona la centralità del verbo, a favore di una dimensione tattile e sonora. Il senso profondo del suo agire, per me, non sta nel nominare le cose e gli oggetti con le parole ma nella sua capacità di far risuonare e scuotere le azioni, soprattutto quelle interiori ed emotive.
Nel film ho volutamente costruito una dimensione atemporale, plasmando il pastore solitario in un personaggio che sembra appartenere ad un passato remoto e al tempo stesso dà l’impressione di vivere in una sorta di futuro distopico. Flaminio sembra l’ultimo superstite del nostro presente, epoca annientata dagli scarti, dal consumo di oggetti e territori, e dall’incapacità di costruire azioni collettive. In questo senso, nel film, gli elementi onirici del rituale de La scasada dol Zenerù e i suoi strumenti magici, campanacci e corni, servono al protagonista come memoria storica di un passato comunitario nel quale si sopravviveva collaborando. Flaminio e il rituale apotropaico instaurano un rapporto simbiotico che permette loro di riconoscersi uno nell’altro.
Il rituale deve scacciare il malvagio insito nella modernità, deve adattarsi al cambiamento con sguardo critico, deve immergersi nel mondo magico, deve preservare il difficile equilibrio tra conosciuto e ignoto. Solo così potrà continuare ad esistere.
Ho voluto rappresentare i gesti delle comunità di montagna che sopravvivono, mostrando la resistenza del vecchio pastore e la forza del rituale collettivo che scaccia l’Inverno.
cast and credits
zenerù
genre | documentary film
year | 2021
duration | 30'
main character | Flaminio Beretta
director | Andrea Grasselli
editors | Fabio Bobbio e Giorgio Affanni
director of photography | Marco Ferri
sound design | Giovanni Corona
screenwriters | Andrea Grasselli e Giorgio Affanni
color | Alessio Zanardi
graphic design | Lorenzo Fantetti
digital effects | Giorgio Poloni
etnomusical advice | Giovanni Mocchi
producer | Andrea Grasselli
genre | documentary film
year | 2021
duration | 30'
main character | Flaminio Beretta
director | Andrea Grasselli
editors | Fabio Bobbio e Giorgio Affanni
director of photography | Marco Ferri
sound design | Giovanni Corona
screenwriters | Andrea Grasselli e Giorgio Affanni
color | Alessio Zanardi
graphic design | Lorenzo Fantetti
digital effects | Giorgio Poloni
etnomusical advice | Giovanni Mocchi
producer | Andrea Grasselli
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